Nonostante la notte di tempesta che ha flagellato la Valtellina, sabato mattina, anche per festeggiare l’inizio delle ferie di Ferragosto, decido comunque di tentare una escursione, questa volta in una zona per me poco familiare: il Lago di Como. La zona dell’escursione si trova nel comune di Abbadia Lariana, pochi chilometri a nord di Lecco, comodamente raggiungibile in treno (o con il pullman sostitutivo, visto che a Morbegno il convoglio della coincidenza non era disponibile e ho dovuto proseguire con un torpedone).Comunque, una volta davanti alla splendida stazione dei treni (205 m.s.m.) di Abbadia Lariana ed aver preso un paio di bottigliette di acqua fresca dal distributore automatico, che con questo caldo resteranno fresche ancora per poco, mi dirigo verso la Strada Statale 72. La percorro per un breve tratto in direzione Est fino all’ingresso di Via Onedo, una ripida strada che, tra case ed opifici, si inerpica fino all’incrocio con Via Corte Americana, dove trovo il segnavia del Sentiero del Viandante (240 m.s.m.). Salgo una rampa di scale in cemento (immagino che questi gradini siano stati calcati dalle suole dei viandanti medioevali) e imbocco l’antico percorso.
Il percorso agevole, con poca salita, la pavimentazione in ciottoli bordati da erba bassa, mi porta un paio di volte attraverso stretti vicoli del paese ma la segnaletica è ottima ed il rischio di perdersi è inesistente. Purtroppo, tutto ciò finisce in un attimo, perchè dopo poche centinaia di metri, sulla destra, tra muri a secco coperti dall’edera, una scalinata ripida è inghiottita poco oltre da un bosco. Il palo in metallo con un cartello rotondo verde porta anche un paio di indicazioni delle direzioni: uno, il più piccolo, informa che quello è l’anello della cascata, cioè il percorso che ho intenzione di seguire (260 m.s.m.).
La faccenda si fa più impegnativa, con una pendenza impegnativa: in un chilometro di sentiero la quota sale di circa trecento metri, costeggiando il Monte di Borbino. Fortunatamente il sentiero è largo, ben tenuto, non presentando sassi traballanti, e sempre all’ombra delle piante. Ad un tratto sento anche uno scampanellio nelle vicinanze, facendomi sospettare che ci siano delle pecore, e la voce di quello che immagino sia il pastore, per poi scoprire che in realtà sono una coppia che, con i loro cani, stanno andando anche loro alla cascata.
Poco oltre, una strada sterrata si stacca sulla destra (conduce alla cima del Monte di Borbino), ma una freccia ed una scritta vergate con della pittura rossa su una roccia mi indirizzano sulla strada corretta. Subito dopo, il sentiero diventa una strada cementata, con altre che si staccano sulla sinistra per condurre a delle abitazioni. Un paio di tornanti, in cui ignoro il largo sentiero che sale a picco a fianco del torrente asciutto, risalgono una parete della montagna e mi ritrovo in una zona coltivata (485 m.s.m.), con fusti di mais che ondeggiano in un campo accarezzati dal vento e dalla luce del sole. Mi riposo un momento sul muretto accanto alla strada, controllando quanto dislivello rimane da coprire. Rimango molto male quando scopro che negli ultimi cinquanta metri bisogna risalirne più di cento (poi, grazie al cielo, scopro che la zona ha una copertura GPS pessima ed i dati sono errati).
Riprendo la strada e in pochi minuti mi ritrovo a passare accanto ad alcune abitazioni ristrutturate: la località Navegno (495 m.s.m.). La strada si attarda in un paio di piccole curve, per poi affrontare la salita con ancora maggiore decisione di prima. Una manciata di sentieri si allontanano sulla destra, forieri di avventure che, mio malgrado, non posso affrontare oggi.
Ed infine, mentre la Carrozzabile dei Campelli continua la sua corsa verso la cima io, come indicato da una serie di cartelli, abbandono la salita e, lungo il tratto di percorso più brutto dell’intera escursione, inizio la discesa (595 m.s.m.). Grossi sassi ingombrano il sentiero che scende lungo la Valle Zerbo, sentiero che fa a pugni con quanto potuto percorrere fino ad ora, con mulattiere ben tenute e strade cementate. Se la salita era ripida, la discesa non è affatto da meno. Fortunatamente dura poco e finalmente, per essere una escursione alla ricerca di una cascata su una montagna affacciata sul lago considerato più bello al mondo (che finora non sono riuscito a vedere nemmeno una volta, sempre nascosto dalle fronde degli alberi), inizio a sentire l’allegro gorgoglio dell’acqua.
Un piccolo ponte (550 m.s.m.) mi accoglie, sotto il quale passa il torrente Zerbo che cade rumoreggiando tra alcuni macigni lì sotto: uno spettacolo troppo bello per non fermarsi a fare qualche foto a lunga esposizione.
Controllo il GPS (chiedendomi anche che fine abbia fatto la coppia con i cani) ma il segnale è troppo degradato (il percorso che sto registrando dovrò risistemarlo prima di pubblicarlo) e ho timore che la strada da seguire sia tra i massi che coprono il letto del fiume. Decido di proseguire per qualche centinaio di metri lungo l’anello, ma già dopo pochi passi, un po’ nascosto, un foglio di carta in una busta di plastica (?) indica l’imbocco di un sentiero. Lo percorro, tenendomi sempre sulla destra quando altri si staccano sulla sinistra, e in breve mi trovo in un rado boschetto, al fianco del torrente. Voci, diverse voci, si fanno sentire una volta superata una curva: un assembramento di persone intente a fare fotografie e selfie (che squallore), altre sedute che parlano o mangiano, ma tutte intente a guardare verso l’alto, tutte a contemplare la cascata del Cenghen (590 m.s.m.).
Devo dire la verità: quando ho scoperto l’escursione che ha come meta la cascata, spinto dalla curiosità sono andato su internet a cercare delle foto della stessa. Una vera delusione, uno spruzzo d’acqua che cade in un crepaccio, spingendomi quasi a non intraprendere l’escursione temendo si tratti di una perdita di tempo.
Peccato che nella realtà la situazione sia completamente diversa: la cascata si presenta come un muro di roccia in cui l’acqua, poca, in realtà, ha pazientemente scavato un tubo che scende quasi verticale, cadendo su una terrazza di sabbia e roccia in cui possono stare decine di persone che immortalano il tutto con cellulari e postano su internet foto pessime che poi uno pensa che non vale la pena salire fin lassù e vedere uno spruzzo d’acqua che cade in un crepaccio. Tra l’altro, guardando bene in alto, la sommità non è nemmeno stata scavata completamente, e l’acqua si getta nella cascata attraverso un anello di roccia. Un vero spettacolo, coadiuvato pure dall’ambiente boscoso silenzioso (almeno, se non si considera tutta la gente assembrata ai piedi della cascata) e fresco.
Dopo aver cercato di trovare una posizione un po’ comoda per la fotocamera senza riprendere quella torma di gente (ovvero in mezzo al torrente, sotto la terrazza) per fare un paio di pessime foto alla cascata, riprendo il cammino. Tornato sul sentiero dell’anello della cascata, decido di non riprendere la strada dell’andata (o che anello sarebbe?) ma scendere in paese dall’altra.
Va detto che se la salita da Sud è impegnativa, da Nord, a quanto mi sembra, è pure peggio, quindi sono felice di aver azzeccato il percorso meno impegnativo. L’unico aspetto positivo della strada a Nord e che in un paio di occasioni, attraversando radure in cui ancora si coltiva o si falciano i prati, lo sguardo può vagare fino alle montagne dall’altra parte della valle e l’anima alleggerirsi con la vista del lago, ma se si salisse tutto ciò sarebbe alle spalle e non si vedrebbe. Quindi, a mio modesto parere, salita da Sud e discesa a Nord è il percorso ideale.
La strada del rientro si dimostra essere migliore dell’ultimo tratto percorso: è sgombra da massi, è larga e, nonostante la pendenza, non si scivola o ci sono rocce che rischiano di muoversi mentre si è sopra. Incontro in continuazione gruppi di persone che risalgono verso la cascata, compreso uno che spiega al nipote come Annibale abbia attraversato le Alpi per attaccare Roma con gli elefanti. Se l’Impero Romano avesse avuto i funzionari doganali di “Airport Security Australia”, Annibale e i suoi pachidermi sarebbero stati caricati sul primo trireme Cisalpia – Numidia e rispediti a casa, altroché guerra di Canne.
Un cartello indica anche, sotto la strada, una panchina con accanto un fiotto di acqua che sgorga da un muro; “Acqua della fame”, indica. Mi chiedo se più avanti non troverò anche qualcosa come “Pane della sete”, ma incontro solo altra gente che sale ed alcune case ristrutturate.
Un paio di stradine si staccano dalla mulattiera che sto seguendo, ma i cartelli dell’anello della cascata e quelli che indicano la direzione per Abbadia Lariana (i sentieri 5A e 5B) mi permettono di non perdermi. Dopo un doppio bivio inizio la discesa lungo una mulattiera con i gradini da una parte e l’acciottolato dall’altra (la versione antica del pedoni/ciclisti ma con i muli al posto delle biciclette). Finalmente, dopo ore, il Lago di Como appare, seppur fugacemente. Solo una volta in fondo alla mulattiera, con il sentiero che riacquista pendenze più umane, la vista può finalmente spaziare su una buona visuale del lago, o per lo meno la sezione non coperta dalle montagne ai miei lati. Una breve sosta per una fotografia panoramica al lago ed un’occhiata alle due splendide ragazze che stanno iniziando la salita, il tutto purtroppo senza l’applicazione del filtro UV, e riparto.
In breve giungo a Linzanico, davanti ad una bella fontana all’interno di un edificio (280 m.s.m.), accanto alla quale ci sono pile di libri, probabilmente una qualche libreria pubblica di quelle che stanno comparendo un po’ ovunque.
Svolto a sinistra, su Via Achille Grandi che, dopo un paio di tornanti stretti, giungo ad un incrocio, accanto al quale c’è un parcheggio e, poco oltre a questo, un tratto del Sentiero del Viandante, facilmente riconoscibile per la pavimentazione in acciottolato. Imbocco quest’ultimo e lo seguo fino a raggiungere una piazza con un parco giochi sulla destra; ora prendo Via per Castello, tornando sull’asfalto, nel paese, quindi Via all’asilo e Via San Rocco, quest’ultima per un tratto uno stretto vicolo. Svolto a sinistra in Via della Quadra e, dopo il campo sportivo, svolto verso il lago, passando sotto il ponte ferroviario.
Mancano ormai pochi minuti al passaggio del treno, sperando che questa volta non venga nuovamente sostituito dall’autobus. Mi trovo sulla Statale ma, invece di seguire la stessa sul marciapiede, noto alla mia sinistra un cartello che indica la stazione dei treni: invita il viaggiatore a usufruire di un passaggio pedonale (210 m.s.m.), tra l’altro pure ben curato, con dei masselli autobloccanti per agevolare il cammino. Tempo dieci minuti, comprando nel frattempo il biglietto del treno via app (che comodità, gente!), camminando tranquillamente tra condomini e case dai giardini, ben curati, la mia escursione termina davanti alla (ripeto nuovamente) splendida stazione dei treni di Abbadia Lariana, soddisfatto del sabato passato a scoprire un luogo che cela una cascata tanto splendida.
Informazioni geografiche | |
Lunghezza del percorso: | 8 km |
Durata: | 2 ore o più |
Comuni attraversati: | Abbadia Lariana |
Località di partenza: | Stazione dei treni di Abbadia Lariana |
Quota di partenza: | 215 metri sul livello del mare |
Coordinate di partenza: | N45° 53.747′ E9° 20.105′ |
Località di arrivo: | Cascata del Cenghen |
Quota di arrivo: | 590 metri sul livello del mare |
Coordinate di arrivo: | N45° 54.279′ E9° 21.540′ |
Dislivello: | 400 metri |
Difficoltà | |
Percorso: | 1/5 |
Fatica: | 3/5 |
Pericolosità: | 2/5 |
Bellezza | |
Condizione: | 5/5 |
Natura: | 5/5 |
Paesaggio: | 4/5 |
Situazione metereologica | |
Data: | 4 agosto 2018 |
Meteo: | Sereno |
Temperatura: | 25°C |
Situazione al suolo: | Asciutto |
Risorse in rete | |
Fotografie: | Link |
Tracciato GPS: | Link |
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